TOSCANA: Pizzo Uccello, una giornata di normale solitaria





Finalmente si parte. La meta e' il pizzo d'uccello, una montagna ed una zona a me sconosciuta. Destinazione scelta solo perché un giorno ho visto quella straordinaria parete di 2724m ed una parete di arrampicata di quasi mille metri.

Dopo qualche ora arrivo al rifugio Donegani, sistemo le cose e scendo per la cena. Durante la cena il gestore del rifugio mi chiede se l'indomani salgo dalla via Oppio/Colnaghi ed in quanti siamo. Rispondo che salgo quella via, ma da solo. Mi guarda un po' stupito e si complimenta con me. Non capisco. E' una via che, almeno sulla carta, sembra facile, sia come gradi, sia come itinerario. Complimenti di che?

La cena e' ottima ed il gestore simpatico e disponibile. Poco dopo lascio la compagnia e salgo in stanza. Domani voglio essere riposato. Sono da solo e la lunghezza della via mi preoccupa un po', si parla di poco piu' di 800m di salita/via alpinistica. Sono a letto, ma più che dormire faccio brevi sonnellini. Mi ha preso un po' di agitazione. Ripasso mentalmente la relazione, anche se non ho una buona memoria, nel frattempo si incrociano i pensieri delle persone che mi hanno detto di aver bivaccato in parete e chiamato l'elisoccorso, perche' e' facile uscire fuori via.
Ma perche' mi vengono certe idee? Affrontare una parete sconosciuta, una via lunghissima, senza sapere nulla di dove sto' andando e da solo.

Suona la sveglia, ma e' da molto che la tengo d'occhio. Mi alzo e mentre mi sistemo, ricontrollo l'attrezzatura cercando di eliminare ancora qualche attrezzo che ritengo superfluo, in modo da alleggerire ancora un po' lo zaino. Imbrago, qualche friend, sei nut, sei moschettoni e le mezze corde. Sembra ci sia tutto. Alzo lo zaino. Pesantissimo. Lo riapro e tolgo ancora qualche friends, un po' di nut, un altro paio di moschettoni. Ora mi sembra più leggero, ma temo sia una sensazione piu' mentale che reale.

Scendo a fare colazione. Sono le cinque del mattino ed Il gestore e' gia' in pista. Scambiamo due parole ma, sia per l'orario, sia per l'agitazione, non sono molto loquace. Salgo in camera, lavo i denti e sono pronto. Scendo ed il gestore mi fa una richiesta insolita. Mi chiede il numero di cellulare. Non ne capisco il motivo, ma lui ne sa' piu' di me.

Mi incammino lentamente lungo la strada che mi porta all'imbocco del sentiero. Il mio passo, volutamente tranquillo, mi permette di ripassare mentalmente alcuni passaggi. Arrivo al sentiero e mi addentro nel bosco. Qui la pendenza cambia. Inizio a sudare ed arrivano i primi dubbi. Saro' sul sentiero giusto? Proseguo un po' a 'naso' e finalmente Inizio a vedere la cima del passo. Intravedo anche una catena, che indica l'inizio della ferrata che dovrò percorrere in discesa.

Arrivo in cima al passo e rimango a bocca aperta. Davanti a me si presenta l'intera parete. Verticale. Bellissima e spaventosa. Mi avevano detto che l'ambiente era bello, ma non mi aspettavo uno spettacolo come quello, forse mi accontento di poco o forse sono ancora alle "prime orecchie". Dopo qualche attimo di contemplazione, inizio a pensare che, a breve, sarò la' in mezzo e mi prende l'angoscia. Saro' solo lungo tutta la parete. Affascinante ed inquietante allo stesso tempo.

Mi riprendo e mi concentro su quello che devo fare nell'immediato. Devo ancora scendere la ferrata. Non so se legarmi o meno. Decido per indossare solo l'imbrago, in caso di evenienza posso attaccare un cordino. Inizio la discesa, non difficile ma con una pendenza pronunciata con alcuni tratti verticali. Cerco di scendere velocemente, ma ben presto mi accorgo che le mani iniziano ad essere indolenzite. Rallento, prendendomi piccoli attimi di riposo. La parete dietro di me' sembra essere sempre più grande. Continuo a scendere, forse l'avevo sottovalutata, la ferrata non termina più. Finalmente vedo la fine, ancora un po' lontana, ma quantomeno la' in fondo finisce. Continuo a scendere e le mani mi fanno sempre più male, la pelle mi brucia. Non dovevo utilizzare il cavo metallico, ma se scendevo disarrampicando avrei impiegato ore. Arrivo finalmente in fondo. Non vedevo l'ora. Guardo le mani e vedo le prime bolle. Maledetto cavo metallico.




Seguo la lieve traccia che sembra vada nella direzione della parete, ma e' solo un miraggio. Ben presto la traccia sparisce e mi trovo in una valletta fatta di ghiaia e roccia, uno sfasciume che mi impegna parecchio. Non c'è un sasso stabile. Cammino in quel pietrisco cercando di avanzare in qualche modo. Non capisco, sono stremato. E pensare che mi sono allenato parecchio. Corsa, arrampicata, bicicletta, forse non e' la giornata giusta ed inizio ad avere qualche dubbio sulla riuscita del mio progettino. Non posso mollare ora, devo tenere duro. Mentre salgo cerco di non pensare e mi prendo delle piccole pause, alzando gli occhi di tanto in tanto. Quella parete mi fa sempre più paura. Tutte le volte che mi invento solitarie in posti sconosciuti le sensazioni sono sempre le solite, un misto di angoscia, paura e voglia di rinunciare, ma nello stesso tempo ne sono affascinato, emozionato ed al limite della commozione, anche se questa salita e' una normale arrampicata senza particolari difficolta', se non quella di "indovinare" il percorso, ma come detto in precedenza, mi accontento di poco.

Sono poco distante dalla mia 'vera' partenza. Alzo lo sguardo e cerco di capire la linea del primo tratto. Non sembra difficile. Seguo poi la parete fino alla sua fine. Da qui riesco ad intravedere il punto di arrivo. Un puntino lontanissimo. La ciliegina in cima ad una parete che sembra tagliata con il coltello. Pochi passi e sono al piccolo pianetto dove un cordino appeso mi segnala il punto di partenza.




Mi cambio e preparo l'attrezzatura con calma. Una strana calma. Mi preparo per l'ascesa in autosicura. Sono pronto, ma prima mi siedo. Cinque minuti di relax, terminati i quali cerco il foglio della relazione per un veloce ripasso. Porca miseria devo averlo perso. Pirla! Ora cosa faccio? Non posso rinunciare, ho fatto tanta strada per nulla. Ho una copia sul telefonino, ma poco leggibile ed in piu' qui non c'e' campo, pazienza, mi devo arrangiare. In una frazione di secondo e con una buona dose di incoscienza, decido di attaccare. Tanto di qualche cosa si deve morire. Intorno nessun rumore. Nessuno in giro, ne animali, ne umani. La cosa mi affascina e mi carica. Oggi l'intera parete e' solo mia. Bene. Ora e' meglio partire, non sono venuto qui per ammirare la parete dal basso. Forza. Muoviamoci. Lego le scarpette e parto. Sono le otto del mattino.

La partenza e' semplice, solo un piccolo e leggero strapiombino, seguito da una placchetta. Nulla di particolare. Salgo deciso seguendo il piccolo canalino che mi porta alla prima sosta. Strano, la fatica e' sparita. Non sto' ansimando e le gambe sembrano muoversi da sole. Mi fermo. Questo e' il punto dove si deve proseguire sulla sinistra. Due tiri di corda verso sinistra, su roccia coperta di erba. Un problema. L'erba e' umida e le scarpetta sembrano saponette. Con calma e molta, molta, attenzione arrivo alla sosta successiva. Qui un buon pianetto mi permette di recuperare la corda facilmente. Gia', la corda. Nei primi tratti non mi e' servita.

Riparto. Pochi passi e devo passare una piccola placca di traverso, poi devo salire e rimontare uno spuntone. Fin'ora ho incrociato un paio di chiodi arrugginiti che, per ora, non ho utilizzato. Salgo ancora slegato, fra erba e roccia. Ora mi trovo davanti ad una paretina di un paio di metri verticali. Una bella placca dove il movimento inizia ad essere interessante. Un chiodo. Lo ignoro e proseguo. Rimonto la placca e mi trovo in un canale. Qui e' tutto uno sfasciume. Spero che poi la via si sviluppi su roccia buona. Seguo per un tratto il canale, poi lo aggiro sulla sinistra e mi reimmetto nel punto dove e' piu' stretto. Qui due pareti staccate verticali, mi obbligano a salire in spaccata. All'uscita del camino mi aspetta un tratto piu' delicato. Roccia rotta, friabile, con dei piccoli tratti quasi verticali. Quasi, quasi, mi lego. Provo ad andare avanti, poi vedo. Ho tempo per legarmi.

Dopo un ampio semicerchio intravedo una sosta. Non so quale sia, non le ho contate. Salendo slegato le soste non sono importanti e spesso non mi accorgo neanche della loro presenza. Bene, ora sono alla sosta e cerco di capire dove mi trovo. Qui un po' di campo per il telefono c'e', ma tutto inutile, non carica. Idealmente ho diviso la parete in tre parti. La prima, dalla partenza ad una sosta con scritto "Lotta Continua"; la seconda, fino ad una scritta "Potere alla Masse"; la terza, fino alla vetta. Spero solo di 'inciampare' in quelle scritte. La salita e' sempre meno evidente ed anche i chiodi o i cordini, che danno una idea del percorso, sono sempre meno presenti. Devo andare un po' a 'naso'. Qui devo ricorrere all'istinto che ho cercato di allenare percorrendo vie classiche. Una via aperta nel 1940 con scarponi e corde in canapa, non puo' avere passaggi particolarmente atletici e di taglio sportivo. Devo scegliere diedri, fessure e pareti appoggiate. Almeno credo.

Proseguo, sempre con un po' di timore di andare fuori via. In quel caso sarebbe un problema, perche' nella relazione e' scritto che il ritiro e' alquanto difficoltoso e sconsigliato. Inizio a capire perche' alcune cordate bivaccano in parete e ricorrono all'elicottero. Lasciamo perdere. Cerco di essere convinto delle mie scelte, ripetendomi che sono sul percorso giusto. Proseguo deciso e dopo alcuni passaggi alternati fra diedri e placche, sempre su terreno poco stabile, arrivo ad un'altra sosta. La conferma che sono sulla strada giusta. Mi lego e riposo un attimo. Ma dove cavolo e' la scritta "Lotta Continua". Mi guardo in giro. Credo che la via prosegua sulla destra. Parto, ripetendomi ancora che sono sulla strada giusta.

Un tratto semplice, poi la parete si alza. Due movimenti con i piedi e trovo una fessura da tenere con le mani trazionandola dal basso. Mi sposto prima a sinistra, poi a destra per entrare in un piccolo camino posizionando mani e piedi in contrapposizione. Mentre salgo in quella posizione, guardo in basso. Pero', da qui sarebbe un bel saltino. Proseguo arrivando all'uscita. Qui la roccia cambia. Le prese sono piu' scivolose e la roccia non particolarmente stabile. Gia', ma da che parte devo andare? A sinistra uno stacco della parete, a destra sfasciume e roccia sporca, di fronte la parete diventa verticale con un piccolo strapiombino da superare. Provo a salire diritto. Pochi movimenti e sono sotto lo strapiombo. Provo un paio di passaggi, ma niente da fare. Sono in difficolta', non c'e' nessun chiodo o almeno io non lo vedo, non posso mettere nessuna protezione e sono slegato. Sono un po' pirla, ma non posso stare li tutto il giorno. Attacco lo strapiombo. Diretto. Devo salire e basta. Non mi sento sicuro, ma non devo fermarmi. Mi insulto per riuscire a smuovermi da quella situazione. Dopo un paio di metri una presa buona. Che sollievo. Mentre sono appeso, mi giro e vedo da dove sono partito. Un bel volo. Riesco a risalire, ma ora ho qualche dubbio. E' facile che sia fuori via. Mi fermo e cerco di studiare la situazione. Credo che il percorso sia a sinistra. No, devo essere sicuro. E' sulla sinistra. Risalgo spostandomi decisamente a sinistra, abbraccio una sporgenza e poco piu' avanti vedo la famosa scritta "Lotta Continua". Porca miseria ora ho la conferma, sono sulla strada giusta ed ora mi merito un sudato riposo.




Dieci minuti, tempo di riordinare le idee e devo ripartire. La via e' ancora lunga. Se ricordo bene, la relazione diceva che la scritta era all'ottavo tiro, quindi mi aspettano ancora piu' di dieci tiri di corda. Aver trovato la scritta mi ha galvanizzato e salgo piu' spedito, questo mi toglie attenzione e faccio cadere qualche sasso. Per fortuna non c'e' nessuno in giro. Mi fermo, mi calmo e torno a concentrarmi. Bevo ancora un sorso d'acqua. Purtroppo e' quasi finita. Ho preso poco piu' di mezzo litro. Mannaggia a me quando ho deciso di risparmiare sul peso. Poca attrezzatura, poca acqua e nulla da mangiare. E' la conferma che sono un genio.

Mi trovo ora su una parte molto esposta, che sale sempre piu' in verticale. Arrivo con fatica in un punto dove non capisco se devo andare a sinistra o proseguire in verticale. Vedo sulla sinistra un chiodo. Tento di arrivarci, ma non mi sembra la strada giusta. Troppo sporca la roccia ed alla fine di quel passaggio, c'e' un salto verticale. Impossibile. Ritorno sui miei passi e provo a proseguire in verticale, ripensando agli apritori. Un passaggio impegnativo per me che ho le scarpette, immagino al limite del possibile con gli scarponi. Vedo un chiodo, ma sono talmente concentrato nel movimento che evito di fermarmi per assicurarmi, perché rischierei di perdere l'equilibrio. Pochi metri e sono di nuovo ad un passaggio poco chiaro. Sull'angolo sinistro ancora un chiodo. Lo raggiungo e mi accorgo che dovrei scendere per un paio di metri. Guardo in alto. La roccia diventa strapiombante e scarna di appigli. Decido di scendere. Arrivo cosi in un canalino e l'istinto mi suggerisce di andare nel diedro a sinistra. Salgo i pochi metri di placca e mi sposto sulla sinistra entrando in un diedro abbastanza largo. Sono sicuro che e' il passaggio giusto.

La base del diedro e' comoda ed ampia. Decido di fermarmi per una piccola sosta. Tolgo lo zaino, slaccio le scarpette e mi siedo. Cerco di consultare la relazione, ma anche qui niente campo. Fa nulla,  ripenso alla strada percorsa e cerco ancora di convincermi che sono sul "sentiero" giusto. Guardo il diedro. Diventa strapiombante. Sposto lo sguardo sulla destra e vedo due chiodi. Perfetto, sono in via. Rimetto lo zaino, allaccio le scarpette e parto. Pochi metri e mi trovo in un punto strapiombante, ma tutti i piccoli pezzi di roccia si muovono, non c'e' nulla di stabile. Ridiscendo e studio la situazione. Tutto confermato, la via e' quella. Risalgo e mi trovo ancora nello stesso punto instabile, ma provo a stare in equilibrio e mi muovo verso destra. Un casino. Cade di tutto. Ridiscendo e cambio strada. Decido di attaccare direttamente i chiodi che ho visto salendo in verticale. Terrore. Non c'e' un minimo di roccia ferma. Finalmente sono ai chiodi, questa volta mi lego. Prendo un moschettone e lo aggancio al primo chiodo, il quale rimane attaccato al moschettone e si sfila dalla roccia. Tranquillo, ce ne' un'altro e con un equilibrio posticcio, su roccia marcia, tolgo il chiodo dal moschettone e lo rimetto nella sua posizione, prendo il moschettone e lo aggancio al secondo chiodo. Stessa situazione. Sempre in quella posizione posticcia, tolgo anche il secondo chiodo dal moschettone e lo rimetto manualmente nella sua sede. Ovviamente il risparmio del peso a fatto in modo di non prendere il martello, che si trova a casa, ben conservato nella sua scatola. Perche' rovinarlo?

La conformazione della roccia e la situazione precaria mi dice che sono decisamente fuori via. La roccia marcia non mi permette di scendere e proseguire, sono nella merda. Per un attimo mi faccio prendere dal panico. No. Devo reagire, devo calmarmi. Ho fatto la cazzata, ora devo rimediare. Devo pensare, ma in fretta. Sono sul lato sinistro di un torrione alto tre o quattro metri. Lo guardo e mi accorgo che e' tutta roccia staccata dalla parete dall'aria tutt'altro che solida. Purtroppo devo 'cavalcarlo' per arrivare dall'altra parte. Devo rischiare. Ci provo. Salgo e muovendomi con molta, molta, molta, cautela arrivo a mettere il piede dall'altra parte. Mentre mi sento 'quasi' sicuro, sento un rumore di ferraglia. Guardo l'imbrago e mi accorgo che il porta materiali che ho aggiunto si e' rotto ed i pochi friends che ho portato, sono caduti in fondo al diedro. Ricorro al proverbiale dizionario delle parolacce dell'arrampicatore e credo di non averne tralasciata nessuna, sia scritte, sia non scritte e di averne pure inventate di nuove. Sono su una roccia verticale, con i piedi appoggiati su una piccolissima linea di roccia e con le mani in vari appigli da pinzare. Ragiono velocemente e l'unica soluzione e' quella di seguire la piccola cengia ed arrivare allo stretto diedro, legare in qualche modo la corda, scendere e recuperare i friends. Il costo che hanno ne giustifica la discesa. Con molta attenzione arrivo al diedro, passo la corda in una lama staccata di roccia, sperando che tenga. Con quella pseudo sicura, mi calo. Arrivo in fondo e recupero la corda. Finalmente una occasione per utilizzare la corda.




Risalgo la placca e rientro nel diedro, recuperando i friends. Recito ancora alcune pagine di quel famoso dizionario e ripercorro la stessa strada instabile di prima. Porca miseria, sto' sfidando la fortuna, ma non ho alternativa. Salgo il marciume fino ai chiodi. Ora la situazione richiede un po' di sangue freddo per scavalcare quel torrione staccato dalla parete. Sto' sudando freddo, ma cerco di non pensare. Con passi estremamente oculati, riesco a passare dall'altra parte. Una e' andata, ora devo seguire ancora la piccolissima cengia, tenendomi con le mani dove posso. E due, sono al diedro. Ora metto le gambe in spaccata e mi fermo. Il diedro è stretto, con pochi appigli e poco piu' in alto diventa strapiombante, ma sembra l'unica strada percorribile. Con cautela mi alzo di un paio di metri. Sono sotto allo strapiombo. Impossibile passare facendo affidamento alle mie sole scarse capacita'. Con lo sguardo cerco in alto a destra ed a sinistra una possibile alternativa. Niente di percorribile. Guardo verso il basso e sulla destra vedo due chiodi. Sono un pirla. Gli sono passato a fianco senza vederli. I due chiodi sono distanziati di circa un metro e indicano chiaramente che la via si sposta sulla destra. Il problema e' che in quella posizione non riesco ad utilizzarli e l'equilibrio precario mi impedisce di scendere in sicurezza. Devo fare un traverso verso destra su quella roccia in leggero strapiombo. Con calma e tenendo gli appigli piu' sicuri, mi muovo lentamente fino ad arrivare sullo spigolo del lato destro del diedro. In quella posizione non vedo dove e se ci sono, appigli buoni. Allungo il braccio alla cieca e la mano trova un super appiglio. Mi avvinghio a quella generosa maniglia ed in pochi passi mi trovo dall'altra parte. Ora posso respirare. Sono teso come una corda di violino e mi siedo su un pianetto per calmarmi. Questo è stato il passaggio piu' difficile che ho trovato fino ad ora, probabilmente anche per il giretto fuori via che ho fatto.

Ancora un sorso dalla sacca idrica. Il suono non lascia nessuna speranza. Sono gli ultimi sorsi e manca ancora mezza parete. Sono stanco. Solo ora mi accorgo che le bolle sulle mani, causate dalla ferrata, si sono aperte. Non fanno male, bruciano solo un po', sono solo fastidiose. Un paio sanguinano. Proseguo. L'arrampicata ora e' facile, anche se la roccia non e' particolarmente stabile. Le gambe iniziano a rallentare ma, quasi inaspettatamente, mi trovo davanti la scritta 'Potere alle masse'. Vedere quella scritta mi rende felice e mi infonde nuova fiducia. Sono a due terzi della salita. Mi fermo per qualche minuto. Spoglio lo zaino. Anche se sto' percorrendo il versante nord e sono in ombra, sto' sudando parecchio ed ho anche finito l'acqua.

Dieci minuti e riparto. Carico lo zaino, che mi sembra sempre piu' pesante. Pochi metri e sono sotto alla parete che la relazione indica come il tiro chiave. Spero non sia cosi faticoso come il diedro che ho sbagliato. Mi risiedo. Un altro riposino. Studio la partenza. Non sembra difficile. La parte sopra e' quasi verticale, ma anche quella non sembra difficile. L'arrampicata insegna comunque a non giudicare dal basso, potrebbe cambiare il mondo quando sei in parete. Mi rialzo e risistemo l'attrezzatura per l'autosicura. E' probabile che questa volta mi serva.




Parto deciso. Mi alzo, mi sposto sulla destra, poi un breve traverso verso sinistra. Ottimo. Ora si sale in verticale seguendo delle fessure. Quasi, quasi, mi lego. Mah. Ora provo a partire, poi vedo. La parete e' quasi completamente verticale, ma gli appigli per le mani e gli appoggi per i piedi non mancano, si fa per dire. Comunque, almeno per ora, la corda non mi serve. Sono ormai a meta' della parete. L'arrampicata non mi sembra difficile, ma devo rimanere concentrato, una distrazione qui e potrei trovarmi alla base di partenza diverse centinaia di metri più in basso. Una nuvola copre la parte sopra di me ed una folata di vento fresco e piacevole mi investe. Forza, continua, non fermarti. Sono stanco. Questo tiro sembra non finire mai. Salgo ancora qualche metro e tutto cambia. Un passaggio alquanto liscio ferma la mia ascesa. Trovo una posizione che mi permette di valutare la situazione. Un chiodo, questa volta lo utilizzo, ma non attacco il moschettone, lo prendo con una mano e lo utilizzo come appiglio. Questo mi permette di passare oltre ma, anziche' sentirmi soddisfatto, mi sento una merda. Ho azzerato, sporcando la salita. Non sono un purista, cerco solo di non utilizzare aiuti di nessun tipo e questa volta mi sono lasciato andare. Superata quell'unica difficolta', la parte finale è un misto di roccia ed erba e diventa tutto piu' semplice.

Supero la sosta, mi sposto a sinistra e rimonto una placca, poi un traverso verso destra e mi trovo un lunghissimo ed ampio diedro coperto da una nuvola. Mi butto in quel canale verticale e subito mi accorgo che la nuvola ha inumidito la roccia. Un problema per mani e scarpette, ma non posso stare li ad aspettare. Salgo, salgo e salgo ancora. Un po' in spaccata con le gambe, un po' seguendo una o l'altra parete. Tutto bene, sto' salendo velocemente, saltando tutte le soste ed i pochissimi chiodi che incontro, ma sono sempre piu' stanco. Dicono che quando una persona non ce la fa' piu', ha ancora il venti percento di forze. Forse io sono gia' al dieci ed e' parecchio che sono anche a secco di acqua. Ora il diedro diventa stretto, troppo stretto e mi incastro con lo zaino in un camino verticale. Porca miseria, non riesco ne' a salire, ne' a scendere. Sono in un casino. Le mani non posso mollarle ed i piedi non hanno appoggi buoni, inoltre la roccia e' anche umida. Cerco di strattonare lo zaino, ma nulla. Credo si sia incastrato un laccio dello zaino. Provo diverse volte a strattonare lo zaino con movimenti bruschi della schiena. Insisto ancora strattonando piu' forte. Niente. Inizio a farmi prendere dal panico. Visto che sono incastrato, cerco di incastrarmi ancora meglio ed in qualche modo ci riesco. Ora sono fermo e posso riprendere fiato, calmarmi e pensare a d una soluzione.

Lo zaino ha un cordino nella parte superiore. Cerco di prenderlo con una mano ed in quella posizione alquanto precaria, cerco di sfilarmi uno spallaccio. Non so come, ma sta' funzionando. Ora infilo il braccio nel cordino e mi sfilo anche l'altro spallaccio. Che culo, ci sono riuscito. Spingo con le gambe e la schiena in modo da rimanere fermo e do' uno strappo potente verso l'esterno della parete. Forse funziona, sento che si muove. Due, tre, quattro strattoni e lo zaino esce. Mi viene quasi da piangere. Ci sono riuscito. Ora aggancio i cordino dello zaino all'imbrago con un rinvio e piano piano mi risalgo quella stretta fessura. Appena uscito do' uno strattone allo zaino e gli tiro anche un calcio. Me la sono vista brutta. Sai che ridere se dovevo chiamare il soccorso? Cosa potevo dire? Sono incastrato fra due pareti e sono pure slegato. Mi avrebbero recuperato a parolacce.

In qualche modo sono riuscito ad uscire da quel camino strettissimo dove mi ero infilato. Ora alzo gli occhi e vedo che il diedro prosegue all'infinito. Non ce la faccio piu'. Il prossimo che mi chiede di andare a fare una via con i diedri, lo uccido. Le anche mi fanno male, non riesco piu' a prendere posizione con le gambe in spaccata e provo a salire sulla parete verticale. Scivola tutto. Devo per forza proseguire in spaccata. Ogni cambio di posizione mi sento le anche che mi esplodono. Sono proprio un incapace. Fra sproloqui ed insulti riesco ad intravedere la fine di quel maledetto diedro. E' una arrampicata che non mi e' mai piaciuta, preferisco le pareti verticali oppure delle splendide placche lisce. 

Esco dal diedro e risalgo un  piccolo canale di sassi instabili, fino ad arrivare ad una piccola cresta. Mi siedo a cavalcioni e ne approfitto per fare una piccola pausa. Mi guardo attorno. Il diedro che ho appena lasciato sembra un buco nero dove non riesco a scorgerne la fine. Le pareti sono lisce ed umide. Mi stupisco di come sia riuscito a salire. Mi guardo di nuovo in giro. Sono seduto a cavalcioni su una piccola cresta, circondato da spuntoni di roccia e davanti a me ancora una parete da salire. Quella posizione mi piace e mi inquieta allo stesso tempo. Forza. Non posso stare li seduto tutto il giorno. Mi alzo e con molta cautela percorro quella decina di metri di cresta. Ora sono alla base della parete e non ho nessuna indicazione della direzione da prendere. Sulla destra un diedro, porca miseria ma sti "cosi" non finiscono mai. Purtroppo, ripensando al periodo in cui è stata aperta la via, è sicuramente quella la direzione giusta, ma prima devo rimontare un roccia sporgente. Con fatica riesco a superarla e mi infilo in quel diedro che, contrariamente a quando sembrava, è molto aperto e non mi costringe a dolorose spaccate. 

Alla base del diedro una sosta. Mi lego e mi siedo. Ancora una pausa per riprendere fiato, perche' non so quanta strada devo ancora fare. Ho la bocca in fiamme, ho finito l'acqua da parecchio ed ho una sete tremenda. Raccolgo un sasso umido e per istinto gli do' una leccata nell'illusione di rubare qualche goccia di umidita'. Sono proprio alla frutta. 

Ora piantala di fare il pirla e riparti. Salgo deciso passo dopo passo. Nessun chiodo, sono costretto a risalire in libera, per fortuna le difficoltà non sono particolarmente alte. Finalmente arrivo alla fine dell'ennesimo diedro e mentre proseguo la roccia si alterna a ghiaia ed erba fino a diventare quasi un sentiero. Alzo lo sguardo e vedo la croce di vetta. Una ventina di metri e sono fuori. Finalmente. Il passo si fa piu’ leggero e quasi mi metto a correre.

Finita. Mi libero velocemente di tutto il peso dell’attrezzatura e recupero le corde, lasciando tutto il materiale sparso in giro un po' a caso. Mi sdraio per terra esausto. Quattro ore e trenta minuti di salita. Mica male per una salita che sulla carta doveva essere attorno alle dieci/dodici ore e senza accorgermi, mi addormento per qualche minuto.




Mi sveglio di soprassalto, mi sembra di aver dormito per ore, ma mi accorgo che sono passati solo pochi minuti. Mi alzo a fatica. Ho la gola in fiamme. Apro lo zaino e tolgo la sacca idrica. Sul fondo è rimasto un sorso di acqua. Con moltissima attenzione apro la sacca, appoggio la bocca e la alzo piano, piano, non devo perdere nemmeno una goccia di acqua. Un sorso, direi molto meno di un sorso. L’acqua è talmente poca che la sento in bocca, ma non la sento scendere in gola. Pazienza. Con molta calma recupero il materiale e cerco di fare un po’ di ordine nello zaino, che ora mi sembra pesantissimo.
La discesa non è difficile, ma sono esausto e la lunga cresta che devo percorrere per arrivare al sentiero, mi sembra un ostacolo insuperabile. Carico lo zaino, le corde e mi avvio. Il percorso si alterna fra tratti di equilibrio e tratti da disarrampicare. Le mani mi fanno male e le vesciche bruciano; sono un misto di terra e polvere impastate con il sangue. Mi fermo spesso a riposare e lo zaino è pesantissimo. Ancora un tratto. Proseguo con molta, molta, lentezza. Ogni volta che mi fermo, mi giro per vedere quanto manca al raggiungimento del sentiero, ma ho l'impressione che il percorso non si accorci, la meta sembra sempre più distante. La gola mi brucia ed ho in bocca il sapore della sabbia.

Finalmente arrivo al sentiero. Mi sembra di aver raggiunto un traguardo incedibile, ma subito mi accorgo che dal passo al rifugio, la strada è ancora lunga. Cammino lentissimo, sembro uno zombi. Lo zaino a volte mi sbilancia e mi fa perdere l'equilibrio. Ho sete. Il sentiero non è così intuitivo. Arrivo ad un bivio e seguo la traccia più evidente. Poche decine di metri e mi accorgo che sono sul tracciato sbagliato. Devo tornare indietro, mi giro ed il sentiero che devo percorrere a ritroso è in salita. Sono veramente esausto. Quelle poche decine di metri in salita mi devastano. Raggiungo il bivio e proseguo lunga la traccia poco intuitiva che mi porta sopra ad una cava di pietra. Il sentiero rimane sopra la strada dei camion che trasportano i blocchi di marmo. Una zona molto polverosa, le foglie degli alberi sono bianche. Ora il sentiero termina bruscamente e devo raggiungere la strada che si trova a circa cinque metri più in basso. Il problema è che devo scendere disarrampicando il bordo che delimita la strada è formato da sassi molto instabili. Spero di non cadere. Mi aggrappo a caso fra sassi ed erba, ovviamente scivolo e cado. Mi trovo a terra sulla strada in una nuvola di polvere. Rimango steso per un attimo. Mi rialzo a fatica. Ho la polvere da tutte le parti. Mi sbatto in qualche modo e mi incammino verso il rifugio con passi molto lenti. Dopo parecchie soste finalmente il rifugio. Anche questa e' andata.







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